Santuario di San Michele Arcangelo
Le prime costruzioni architettoniche, così come la conosciamo oggi, risalgono al 1865.
La facciata antistante l’atrio del santuario di San Michele Arcangelo, costruita nel 1865, è costituita da due arcate seguite da volte ogivali che terminano in una parete, nella quale si aprono due portali. Quello di sinistra è un’imitazione risalente al 1865; quello di destra, scolpito nel 1395 da Simeone da Monte Sant’Angelo, accoglie nella lunetta il rilievo di una Madonna col Bambino fra i Santi Pietro e Paolo.
Superato il vestibolo, si accede ad un’ampia e lunga scalinata, formata da cinque rampe, che scendono ripide, coperte da grandi arcate gotiche e da volte ogivali, illuminate da piccole feritoie a strombo.
Entro nicchie ricavate nelle pareti sono accolte le arche sepolcrali di menbri di antiche famiglie del paese. Sono una ventina e alcune di esse ospitano i resti mortali di personaggi illustri, quali il vescovo di Siponto, Leone II, morto nel 1050, e la duchessa Margherita Sanseverino, madre di re Carlo di Durazzo , morta nel 1351.
Sul quarto ripiano, prima dell’ultima rampa, si osserva nella parete la traccia di un’antichissimo portale, che doveva servire da secondo ingresso alla basilica precedente la costruzione della chiesa angioina. Al termine della scalinata, sulla sinistra, si trova una grotticella, chiusa da una porticina, conosciuta come Piscina delle Rose.
Finalmente, percorsi gli ottantanove gradini che formano la scalinata, si giunge davanti alla Porta del Toro, costruita fra il 1652 e il 1658 in un sobrio barocco; essa trae nome dal rilievo che adornava la base delle due colonne tortili, in cui era raffigurato l’episodio dello smarrimento del toro, relativo alla prima apparizione dell’Arcangelo.
Da qui si accede a un piccolo atrio rettangolare circondato da arcate e cappelle funerarie, fra cui il Sepolcro di Jacopo Polderico, conte di Lesina. La tomba originariamente era stata occupata dalle spoglie di Margherita Sanseverino, nonna di re Ladislao e della regina Giovanna II; ma con la fine della dinastia angioina, Matteo Polderico ne approffitò per trasferire quelle del figlio Jacopo, una trentina d’anni dopo la sua morte, che era avvenuta nel 1408. L’ambiente che costituisce l’atrio risale all’XI secolo, tempo di Roberto il Guiscardo ed è quanto rimane della modifiche apportate dai Normanni alla primitiva costruzione longobarda.